XXXVII^
4/7/2015

Come ormai sanno anche i sassi, abbiamo cambiato casa. Come invece io non sapevo, per cambiare il pass che permette la sosta della macchina dei residenti di una data zona non ci si rivolge più alla Vigilanza Urbana…

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Come ormai sanno anche i sassi, abbiamo cambiato casa. Come invece io non sapevo, per cambiare il pass che permette la sosta della macchina dei residenti di una data zona non ci si rivolge più alla Vigilanza Urbana: trasformata in Polizia Locale e acconciamente travestita da polismano amerikano, non ha più tempo da perdere con queste quisquilie. Occorre recarsi di persona a un Ufficio Anagrafe. Non capisco: nel modulo per richiedere alla succitata Anagrafe il cambio di residenza si deve segnalare anche numero di targa eccetera della macchina che si possiede, e che quindi già era dotata di pass che sarebbe solo da sostituire, contestualmente alla registrazione del cambio di indirizzo. Invece no, troppo elementare. Evidentemente vogliono vederci in faccia, mi sono detto, conoscerci, dirci che siamo i benvenuti in zona. Ufficio Anagrafe di via Padova: ci vado dopo aver cercato in Internet, sull’apposito sito del Comune, che documenti servono. Atmosfera rilassata, un’abbondante signora che allatta con discrezione, un numerosissimo e paziente campionario di nuovi milanesi provenienti da Cina, Africa, Sud America e via dicendo, un’impiegata meccanicamente impegnata a distribuire moduli per le richieste più svariate e a fornire informazioni in un efficientissimo linguaggio tipo “io Tarzan, tu Jane”. Mi faccio largo su un tavolino da poker sul quale altre quattro persone cercano di fare la stessa cosa: compilare il loro modulo. All’ultima riga il mio mi chiede di consegnare in allegato il vecchio pass; nelle informazioni “online” non c’era ombra della richiesta, quindi intasco il modulo, mi dò dell’imbecille per non averci pensato autonomamente, e mi avvio verso casa per recuperare il prezioso rettangolino. Mi accompagna il ricordo confortante di una moltitudine di persone civilmente intente a cercare di capire come funziona la burocrazia della loro nuova patria: tranquille, pazienti, molto probabilmente abituate a cose ben peggiori. Recuperato il vecchio pass, e ricordando la quantità di persone lasciate in via Padova ad attendere il proprio turno, opto per l’Anagrafe di via Larga, quella che si fregia del titolo di centrale. All’ingresso cerco invano il distributore di numerini, una usciera mi avverte con tono stanco che il numerino si ritira allo sportello in fondo al corridoio. Vado, e mi metto in coda per ritirare il numero che mi consentirà di mettermi nuovamente in coda, però nel salone centrale. Ho davanti una coppia di arcigni coniugi locali più o meno miei coetanei: non vogliono numerini, loro, vogliono sapere “cos’è che si deve fare per votare il referendum della Lega”. L’impiegata li guarda perplessa, a me scappa un mezzo sorriso involontario. Un uomo corpulento che mi affianca nella fila mi pianta in faccia uno sguardo cattivo e mi apostrofa con insopprimibile accento pugliese : “Perché, tu quanti ne tiene a casa tua di negri?”. Visto che non rispondo con prontezza ribadisce che “io nella casa mia non ce li voglio”. Ottengo il numero P031 e me la squaglio nel salone. La diversa composizione sociale, rispetto a via Padova, balza agli occhi, e balza agli occhi anche la netta separazione tra chi in questa città è democratico e chi non lo è: là io ero una minoranza etnica accettata senza imbarazzo o diffidenza, qui sono in grado di distinguere chi ritiene gli esseri umani appunto esseri umani, e chi invece subisce con fastidio e arroganza l’idea che un extracomunitario abbia un numerino più basso del suo. A occhio e croce i miei concittadini mi sembrano appartenere in parti eguali ai due schieramenti, il che non mi tranquillizza affatto, visto che tra un po’ si andrà a votare anche qui, e che lo schieramento democratico non sembra avere idee, mentre Salvini sembra averle, e chiarissime. Nel frattempo la lettera P del mio numerino non sembra appartenere all’alfabeto del display del salone. Uno scadente  esemplare femminile di middle class meneghina palesa la sua fede berlusconiana inveendo contro Pisapia, perché “ci sono poche sedie, lo vede anche un cretino”. Un tipo atticciato mi offre La Gazzetta dello Sport, dice che ormai è uno schifo pieno di politica anche La Gazzetta. La lettera P compare, e io ottengo un foglio A4 che dice di essere il pass provvisorio, in attesa che arrivi, presumo stampato dalla stessa stampante, il rettangolino definitivo. Dice che se tra sei mesi non fosse arrivato dovrei fare nuovamente la trafila per ottenerne un altro, di quelli provvisori. Fuori c’è l’EXPO’.