XXXVI^
6/6/2015

Ci sono state le elezioni, regionali, comunali, stanche, anche noiose, forse per alcuni una delusione mentre per altri un miracolo, ancora una volta. Fortunatamente non ero della partita, davvero fortunatamente…

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Ci sono state le elezioni, regionali, comunali, stanche, anche noiose, forse per alcuni una delusione mentre per altri un miracolo, ancora una volta. Fortunatamente non ero della partita, davvero fortunatamente. Da spettatore non mi sono commosso: ormai, sarà l’età o il lungo allenamento, mi riesce solo di lasciarmi abbracciare da una stanca tristezza. Sto cercando di utilizzare le energie residue per evitare lo scalino successivo: l’indifferenza apatica di chi si va appunto rassegnando all’idea che votare sia un esercizio frustrante e inutile. Idea suicida. Spero di resistere fino al capolinea. Mi faccio domande, questo sì, anche se le riconosco oziose, ma non riesco a non farmele. Domande di un uomo di sinistra a tutte le stramaledette sinistre italiane: com’è possibile un intero secolo, perché di un intero secolo si tratta, speso a dividersi, a mettersi nell’impossibilità di realizzare non dico un sogno, ma almeno quanto sarebbe ragionevolmente possibile realizzare? Sono un anarchico postindustriale, quindi consapevole della differenza tra l’utopia di un sogno e il sogno di un progetto realizzabile, per gradi, passo dopo passo. Eccomi allora disposto a votare per questi passi, per questo avanzare per gradi, insieme. Invece no, a ogni tornata elettorale il pulviscolo di verità e ambizioni personali di cui è composta la sinistra si incarica di mandare a monte tutto, i piccoli passi e i grandi progetti così come le possibili coesioni attorno agli obbiettivi comuni e raggiungibili, che pure ci sarebbero. Non mi piace Renzi, ma ancora meno mi piace chi gli oppone sempre e solo il solito niet, oltretutto impugnando questioni di principio sulle quali sarei veramente curioso di vederlo all’opera. Un’idea praticabile in concreto da opporre a ciò che sta facendo, qualcuno dei suoi compagni-avversari ce l’ha? Perché suvvia, non ci sarà qualcuno che crede davvero che sia possibile dare uno stipendio a tutti i disoccupati, assumere in blocco centinaia di migliaia di insegnanti, senza prima sfoltire drasticamente gli affollati ruoli dei dipendenti pubblici assunti da anni solo perché rappresentano voti per i vari potentati locali. Si può continuare impunemente a mantenere a vita un esercito di politici più inutili delle poltrone sulle quali siedono? Si può liberarsene con un bel decreto legge? Chi vota il proprio licenziamento? Quanti dipendenti delle defunte province, che non fossero dei poveri precari, sono stati avviati a cercarsi un’altra occupazione? Nessuno: tutti scaricati sulle nasciture realtà metropolitane, nate già oberate dai debiti lasciati in eredità dalle care estinte. E c’è chi si erge a giudice di quanto sta facendo un giovanotto fiorentino, che a mio avviso ha il pregio innegabile di giocarsi la faccia, cosa che i suoi detrattori in tanti anni non hanno fatto, con l’esclusione dei soliti Ochetto, Veltroni, Bersani e pochissimi altri. E’ accusato di non aver risolto in un anno di governo i danni materiali, morali e mentali di settant’anni di malaffare istituzionalizzato. Si può seriamente chiedere questo a un ex sindaco neppure quarantenne, come se fosse in suo potere fare in un anno ciò che finora nessuno ha fatto? E a chiederglielo è chi ha governato vent’anni, sono le new entry, che per non rinunciare a un poco della propria pretesa verginità morale non si sporcano le mani quel tanto che far politica di governo richiede. Oppure addirittura i suoi compagni di partito, quelli che, da Ochetto in poi, sono riusciti solo a cambiare nome  e logo alla “ditta” non so più quante volte. Renzi è uno spaccone, certo presuntuoso, per la semplice ragione che non ha l’esperienza necessaria a destreggiarsi tra i trabocchetti del palazzo, ma quell’esperienza ce l’hanno i suoi detrattori, e allora? Un poco d’umiltà, di senso della realtà: accettare la verità che non è diventato segretario del partito con un colpo di stato, ma solo perché le persone, gli esseri umani che votano quel partito da un pezzo non sono più le tute blu e non hanno più quelle aspirazioni elementari, questo servirebbe e questo si chiamerebbe spirito di servizio. Niente di più e niente di meno. E quanto dico si riferisce agli uomini politici di sinistra onesti, perché della moltitudine di disonesti che emergono a ogni colpo di ramazza di magistratura e forze dell’ordine ho sempre pensato che nel cataclisma di Mani Pulite se la fossero cavata solo perché blindati dentro un partito solido, compatto e organizzato. Fin qui ho parlato di quelli che dovrebbero essere tutti dalla mia parte della barricata. Dell’accolita di gente inqualificabile che si annida nelle cooperative multicolori spero che i giudici e i carabinieri facciano strame. Di quelli che si raccolgono sotto le squallide felpe di Salvini posso solo sperare che siano affetti da una ignoranza abissale. Avremmo bisogno di una sinistra moderna e realista, non di un gruppetto di primi della classe con cento alunni a testa. Avremmo bisogno anche di una destra civile, moderna, non costretta ad aggrapparsi a razzisti, fascisti e vecchi rottami da avanspettacolo per sopravvivere. La democrazia funziona così, ho letto da qualche parte, oppure non funziona. Non possiamo dare la colpa a Renzi: lui, secondo me, occupa lo spazio che lo sfasciume politico del passato e la pochezza politica del momento hanno reso vacante, e lo utilizza facendo ciò che crede giusto fare. O si collabora, o altrimenti gli devono essere opposte delle idee serie e praticabili in concreto, non degli elenchi di richieste alle quali gli stessi proponenti non saprebbero dare risposta: così possono comportarsi i frequentatori di un bar, non politici di lungo corso che l’unica cosa che a oggi hanno ottenuto è un Presidente del Consiglio che non sopportano perché non li sopporta. Di chi non va a votare posso solo dire che ne ha il diritto, e che contemporaneamente rinuncia al proprio diritto più responsabile. Però, poi, vietato lamentarsi. Siamo seri.