XXII^
19/11/2014

Non mi piace chi, come Matteo Renzi, dichiara di poter fare a meno di ciò che pensano i suoi compagni di partito, chi semplicemente si dichiara disinteressato a ciò che pensa il prossimo. Ancora meno mi piace chi snobba i sindacati e considera i loro rappresentati dei baciati dalla fortuna…

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Non mi piace chi, come Matteo Renzi, dichiara di poter fare a meno di ciò che pensano i suoi compagni di partito, chi semplicemente si dichiara disinteressato a ciò che pensa il prossimo. Ancora meno mi piace chi snobba i sindacati e considera i loro rappresentati dei baciati dalla fortuna. Detto questo, mi tocca ammettere che Renzi ha ragione quando dice che il nostro è il paese degli sprechi, e sottintende che è anche un paese di ladri. Lasciamo pur perdere l’emblematica faccenda del prezzo di una siringa acquistata da un ospedale siciliano o da un ospedale di Vicenza, esempio assurto alle glorie televisive di prima serata. Il guaio è che diventa sempre più difficile guardarsi attorno senza vedere in concreto la quantità di soldi che le varie amministrazioni spargono a piene mani senza alcuna necessità o anche solo utilità, addirittura senza che l’opera mangiaquattrini veda mai la fine. Grandi opere e appalti Expo sfuggono all’occhio delle persone comuni e ce le raccontano polizia e carabinieri, ma molte cose le abbiamo sotto gli occhi anche noi. Vivo a Milano, città che si fregia da sempre dell’affascinante titolo di capitale morale, oltre che di locomotiva dell’economia italica. Non infierirò sull’assoluta mancanza di senso di queste leggende: lo ebbero, ma lo persero con la fine delle fabbriche, degli operai, degli industriali veri e dei veri borghesi: le classi sociali che confrontandosi duramente fecero e governarono Milano fino all’ubriacatura del boom economico. Fino a che una società del superfluo e del trafficare in modo poco chiaro non si affermò come egemone. Non attribuisco responsabilità all’attuale sindaco, non so quali progetti pubblici portino la sua firma e quanti ne abbia ricevuti in eredità, ma le opere faraoniche che da qualche anno stravolgono la città sono difficilmente ascrivibili alla categoria della pubblica utilità. Questo in generale, poi mi guardo attorno e vedo soldi sprecati ovunque, in una miriade di cose piccole, che moltiplicate per il numero delle strade cittadine smettono di esserlo: alberi destinati a diventare enormi piantati a due metri dalle finestre o dove non attecchiranno mai, o sfonderanno l’asfalto con le radici; arzigogoli di granito e sassi per decorare un semplice incrocio; selve di cartelli stradali ognuno con il proprio palo; marciapiedi divelti e risistemati continuamente perché i vari settori addetti non concordano gli interventi; strade asfaltate e riasfaltate senza un motivo; vecchie case e fabbriche abbandonate e continue autorizzazioni a divorare suolo pubblico per costruire falansteri di lusso. Zone sconvolte per anni per costruire box sotterranei; secoli per realizzare corsie riservate ai mezzi pubblici. Percorso facile che scorre tra le due teorie di alberi che separano i viali? No, cantiere eterno che si ferma e devia davanti al rudere di un decrepito mercato comunale vuoto per riprendere, dopo un accrocchio decorativo che blocca un incrocio, a correre tra le due file di alberi. Fino alla prossima interruzione misteriosa. Tutte opere che in qualsiasi altro paese verrebbero realizzate, e meglio, in sei mesi, e che qui si trascinano per anni senza arrivare a compimento. L’aeroporto di Linate è collegato a Milano da Viale Forlanini, un lunghissimo e largo rettilineo tra il verde e senza incroci. Altrove, a Parigi per esempio, dovendo realizzare una linea metropolitana che da lì porti in città, avrebbero costruito in breve tempo una poco costosa sopraelevata che si sarebbe interrata solo entrando in città. Perché studiare un percorso sotterraneo che poi non si riesce a realizzare e che si traduce in una serie di cantieri fermi per anni, e in disagi per chiunque abiti o abbia un’attività nei dintorni delle ipotetiche stazioni? Forse perché costerebbe troppo poco? Questi sono esempi che stanno sotto gli occhi di tutti, un elenco di cose che rappresentano solo un colossale spreco di denaro pubblico. Persino per farci legare le biciclette hanno pagato dei designer e usato tonnellate di ferro, invece di ricorrere a un semplicissimo tubo teso tra due paletti, pratico e poco costoso. Sono sempre più convinto che si tratti di un micidiale impasto di disonestà e inettitudine. Un vecchio geometra mio amico, guardando il risultato finale di un cantiere pubblico durato anni, mi diceva scuotendo la testa che “in minga bun”: non sono capaci. Gli unici che ci guadagnano sono gli intrallazzatori pubblici, privati, malavitosi, piazzati strategicamente tra committenza e imprese. Ecco perché diventa difficile dare torto all’antipatico e saccente Renzi. Qui a Milano, in via Palestro c’è la Villa Reale, costruita nel Settecento: una targa affissa al muro dice che è stata realizzata in un paio d’anni. Portando i mattoni su scale e impalcature di legno, a forza di braccia.