XVI^
9/10/2014

Una mia amica, un po’ zen e un po’ no, mi dice che Sin City, il film al quale accennavo nella quindicesima bottiglia, non è pericoloso in quanto “surreale”, e mi fornisce così il destro per scrivere la sedicesima.
Ha ragione, quando afferma che il “surreale”, in quanto tale, non è di per sé pericoloso…

continua

Una mia amica, un po’ zen e un po’ no, mi dice che Sin City, il film al quale accennavo nella quindicesima bottiglia, non è pericoloso in quanto “surreale”, e mi fornisce così il destro per scrivere la sedicesima.

Ha ragione, quando afferma che il “surreale”, in quanto tale, non è di per sé pericoloso: non lo è, o almeno non lo dovrebbe essere, in un mondo normale.

Ma il nostro mondo normale non lo è più, nel senso che da un pezzo sono saltati tutti i filtri culturali e mentali che separavano il reale dal surreale, rendendo quest’ultimo una normale connotazione del nostro vivere quotidiano.

Come spiegarsi altrimenti questa assoluta confusione tra ciò che è possibile fare e ciò che non lo è, questa incredulità diffusa circa le prevedibili, e quindi possibili conseguenze delle azioni delinquenziali veramente più surreali?

Ultimo caso: tre ventiquattrenni calano le braghe a un ragazzino napoletano grassottello e lo gonfiano con l’aria compressa dell’impianto di autolavaggio, con la prevedibile conseguenza di mandarlo all’ospedale in fin di vita; linea di difesa: “volevamo fargli uno scherzo, prenderlo in giro”.

Gli altri adulti presenti, padrone dell’autolavaggio, clienti e via dicendo, non vedono, non sentono e, conseguentemente, non solo non parlano, ma neppure intervengono: non è surreale?

E i tre ventiquattrenni?

A quell’età a Napoli, e anche altrove, spesso si è già padre, marito, faticatore, laureato o negoziante, disoccupato, altro a scelta.

Una persona reale, insomma.

Allora, come fanno tre persone reali a ritenere che mettere un tubo dentro un ragazzo, e aprire il rubinetto del compressore, sia “fare uno scherzo”?

Come fanno i loro parenti a dire che si tratta di uno “scherzo finito male per disgrazia”, non è surreale anche solo pensare che qualcuno sano di mente ci possa credere?

Voltiamo pagina: due boss mafiosi coinvolti nell’ipotesi criminosa per cui il Presidente della Repubblica deve essere sentito dai magistrati come testimone, o comunque perché ritenuto “al corrente dei fatti”, pretendono di assistere all’interrogatorio; i magistrati rispondono di no.

Come esempio di surrealismo a me parrebbe già sufficiente la loro richiesta, ma invece Sabina Guzzanti, persona intelligente e in grado di sapere ciò che dice, non trova niente di surreale nel dichiarare la propria “solidarietà” ai signori Riina e Bagarella perché “privati di un loro diritto”.

E’ surreale persino nell’intento di usare questo espediente per richiamare su di sé l’attenzione di un pubblico ormai distratto da ben altri problemi.

Scorrazzando sull’Appennino piacentino mi è capitato di imbattermi in una piccola autocolonna di jeep militari cariche di uomini ampiamente adulti in tenuta mimetica e completi di armi ed elmetti: non era un’allucinazione, era un “war game”, mi è stato spiegato.

Niente di surreale nel vestirsi da soldato americano della seconda guerra mondiale, andarsene in giro con l’elmetto di traverso e una gamba penzolante fuori dalla jeep, a fucile imbracciato, nel Duemila, in provincia di Piacenza, a quaranta o cinquant’anni d’età e con moglie e figli tranquilli a casa ad aspettare il guerriero?

Sono stato volutamente leggero con gli esempi, perché sono un po’ stanco di calcare la mano e aggiungere esempi su esempi a suffragio di una mia tesi: sull’argomento “pericolosità della sparizione dei confini tra reale, surreale e virtuale nell’agire dell’essere umano”, penso che questa bottiglia contenga già abbastanza. Così la mia editor non mi rimprovera la progressiva lunghezza e ripetitività dei messaggi.