XI^
12/9/2014

Sciatteria. Secondo la Treccani: “trascuratezza nella cura della persona, nell’esecuzione di un lavoro, nell’esercizio di un’arte, nel vestire, nel parlare, nello scrivere…”. Quindi, sfidando una sequela interminabile di luoghi comuni consolatorii, una calzante descrizione del modo di essere di buona parte degli italiani,

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Sciatteria. Secondo la Treccani: “trascuratezza nella cura della persona, nell’esecuzione di un lavoro, nell’esercizio di un’arte, nel vestire, nel parlare, nello scrivere…”. Quindi, sfidando una sequela interminabile di luoghi comuni consolatorii, una calzante descrizione del modo di essere di buona parte degli italiani, che la considerano spigliatezza, disinvoltura. Senza escludere i presenti, me compreso, come invece si usa fare per falsa creanza. Partirò da me: provengo, per debito anagrafico, da una famiglia di costumi semplicemente seri, e perciò non rischio di essere sciatto nel vestire, nello stare a tavola, nello scrivere, nel comportarmi in pubblico. Non è un merito, è solo la conseguenza di un tipo di educazione che aveva come pilastro portante il rispetto per se stessi, prima ancora che per il prossimo. Però ho scoperto in me una forma di sciatteria passiva, anche questa sopravvenuta per banali limiti anagrafici, nel senso che mi sono rassegnato alla sciatteria altrui, cosa che non andrebbe fatta mai, se si avessero davvero a cuore le sorti di questo paese. Brontolo, ci scrivo sopra qualche riga, la prendo in giro, ma in concreto rinuncio a contrastarla: la mia è una resa a un fenomeno di massa che, in quanto tale, potrebbe forse essere corretto solo da una dittatura, rimedio che sarebbe ancora peggiore del guaio. In questo atteggiamento pesa molto anche il mio assoluto rispetto per la libertà altrui, caratteristica che non mi esime dall’essere profondamente infastidito dalla sciatteria imperante nel nostro paese. Della quale è vittima ogni aspetto della vita e dei rapporti sociali. Si va dal non correggere più le bozze degli articoli dei giornali al non badare ai guai del deleterio “copia e incolla”, dallo spacciare per moda i jeans strappati al mandare in giro delle preadolescenti con delle braghette inguinali a fronte delle quali la povera Mary Quant arrossirebbe imbarazzata, dall’infliggere musica a tutto volume in qualsiasi esercizio pubblico, allo sputacchiare o appiccicare chewing gum ovunque, dall’apporre firme o scarabocchi su qualsiasi superficie non ci appartenga, al mettere i piedi dove altri dovrebbero sedersi, al grattarsi ostentatamente i cosiddetti attributi con la scusa di fare del rap. I microscopici schermi che ormai abitano tutte le tasche hanno indotto la pigrizia nazionale all’uso di una sorta di stenografia ignorante, che consiste banalmente nella contrazione dei vocaboli, nella sparizione di articoli, preposizioni e punteggiatura, anche all’invenzione di neologismi angloitalioti che non hanno neppure la capacità di farsi capire da tutti, così che si finisce per comunicare come dei semianalfabeti, ma solo per fasce generazionali, professionali, se non per bande. A quest’ultimo aspetto collaborano attivamente i frequentatori della rete, un  esempio per tutti Twitter, spazio virtuale sul quale la costrizione a condensare un concetto in centoquaranta caratteri fa scrivere a persone insospettabili frasi che non avrebbero mai il coraggio di pronunciare in pubblico. Fa anche risolvere con una sequela di insulti e volgarità cose che si potrebbero dire civilmente, solo usando quel tanto di educazione, grammatica e proprietà di linguaggio che vengono insegnate alle elementari. In persone non sciatte la necessità di condensare un concetto in un limite dato di lettere spronerebbe a una scelta, all’esercizio della sintesi, a un’attenzione intelligente nel dire: la sciatteria invece sceglie una banale riduzione di una frase a un mugugno per iniziati, se non appunto a quattro insulti volgari. Siamo un popolo sciatto nell’uso del territorio, di tutto ciò che non è strettamente nostro, privato. Usiamo aiuole e fioriere come pattumiere o portacenere, marciapiedi come piste ciclabili per ciclisti prepotenti con i pedoni quanto gli automobilisti con loro, o come  parcheggi. Splendide montagne vengono ridotte a discariche dai nostri picnic in quota, prati e sentieri a piste per fuoristrada a due e quattro ruote. Alla nostra sciatteria non scampa nulla, mare, monti, paesi, linguaggio, modo di agghindarsi: tutto. E se noi siamo così è ovvio che coloro che ci governano non sono certo migliori, visto che li abbiamo scelti noi per rappresentarci. Così che gli esempi fatti per illustrare la nostra sciatteria vanno moltiplicati all’infinito, per numero e gravità di conseguenze, quando si parla di quella di chi guida la nazione. Dalla testa, come usa dire a Napoli, che di sciatteria ne sa, il pesce comincia a puzzare; e da lì la  puzza scende appestando tutto: pressapochismo di governanti e di grandi e piccoli burocrati, organismi dello stato che non fanno e non sanno fare bene il loro mestiere, rappresentanti della legge che si arrendono al malcostume dilagante, quando addirittura non lo fanno proprio, genitori che rinunciano per comodità a fare ciò che dovrebbe fare chi mette al mondo un figlio, se non vuole che diventi a sua volta una persona sciatta. Che è poi una persona che non sa stare civilmente e utilmente all’interno di una comunità. In un consesso di persone così si vive male: ci vivo male io, ma ci vivono male le stesse persone sciatte, benché non se ne rendano conto.